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LegalNews: Licenziare per aumentare i profitti dell’impresa

Con la recente sentenza n. 25201 del 07.12.2016 la Cassazione è tornata sul tema della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato dal datore di lavoro per aumentare i profitti della propria impresa.

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LegalNews: Licenziare per aumentare i profitti dell’impresa
Il tema affrontato dalla Suprema Corte con la pronuncia in esame, come noto, è caldissimo: il mercato del lavoro italiano, infatti, soffre di patologie molto gravi e ormai radicate. D’altra parte, però, è opportuno sottolineare – a parere dello scrivente – che le fondamentali aspettative di riforma di questo settore devono essere necessariamente soddisfatte dal potere politico, con iniziative a tutela dell’occupazione ed eventualmente dal Legislatore, con riforme strutturali ben realizzate e coerenti con la situazione italiana. Al contrario, richiedere alla magistratura di stravolgere – o comunque forzare – le norme vigenti per ottenere risultati incoerenti con esse, non rende giustizia al fondamentale ruolo del giudice, che è quello di verificare il rispetto delle regole ad opera dei consorziati e non, al contrario, quello di crearle.

Ciò detto, come noto, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604/1966) è quello che può essere disposto dal datore di lavoro per ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Con riferimento a questa tipologia di licenziamento, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione si sono formati due opposti orientamenti: il primo più tradizionale e – probabilmente – più consistente sotto il profilo numerico, mentre il secondo più innovativo.

Secondo il primo orientamento il licenziamento per motivo oggettivo deve essere giustificato dalla necessità di fare fronte a sfavorevoli situazioni economiche dell’impresa - non meramente contingenti - influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva oppure da quella di sostenere notevoli spese di carattere straordinario, mentre non potrebbe venire disposto dal datore di lavoro esclusivamente al fine di aumentare la redditività dell’attività e quindi i profitti dell’impresa.

A detta del secondo orientamento, invece, il licenziamento per motivo oggettivo può essere giustificato anche da riorganizzazioni o ristrutturazioni dell’azienda, a prescindere dalle loro finalità e - quindi - anche nel caso in cui siano dirette al risparmio dei costi o all'incremento dei profitti; a detta di tale orientamento, infatti, ritenere illegittimo un licenziamento irrogato per ridefinire la struttura dell’azienda e incrementare i profitti significherebbe affermare il principio, contrastante con quello sancito dall'art. 41 Cost., per il quale l'organizzazione aziendale, una volta delineata, costituirebbe un dato non modificabile se non in presenza di un andamento negativo e non anche nell’ottica di una più proficua configurazione dell'apparato produttivo, del quale il datore di lavoro ha il naturale interesse ad ottimizzare l'efficienza e la competitività.

Il caso sottoposto al giudizio della Suprema Corte ha proprio ad oggetto un licenziamento irrogato dal datore di lavoro nell’ambito di una ristrutturazione dell’organizzazione della propria azienda, tesa ad incrementare gli utili dell’impresa. Il lavoratore impugnava il licenziamento avanti al competente tribunale, che rigettava però la domanda giudiziale; la corte d’appello, invece, accoglieva le richieste del lavoratore e dichiarava nullo il licenziamento. Il datore di lavoro, perciò, ricorreva per Cassazione.

La Corte, investita della questione, ha premesso un completo esame dei due orientamenti sopra descritti, per poi individuare quale delle due ricostruzioni adottare per decidere il caso oggetto del ricorso. La Cassazione, ha esordito rilevando che entrambi gli orientamenti richiedono un controllo giudiziale sull'effettività del ridimensionamento della struttura aziendale (che non sussiste qualora il datore di lavoro si limiti a sostituire un lavoratore con un altro) e sul nesso causale tra la ragione posta alla base del licenziamento e la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato. Un ulteriore limite al potere datoriale costantemente affermato dalla giurisprudenza viene identificato nella non pretestuosità della scelta organizzativa operata dall’imprenditore.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha sottolineato che l'interpretazione letterale dell’art. 3 della L. n. 604/1966 esclude che per ritenere giustificato il licenziamento per motivo oggettivo debbano necessariamente sussistere situazioni sfavorevoli oppure la necessità di fare fronte a spese notevoli di carattere straordinario. Al contrario, sarebbe sufficiente che il licenziamento sia determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, tra le quali non possono essere aprioristicamente escluse quelle che attengono ad una migliore efficienza gestionale o produttiva, nonché quelle dirette ad un aumento della redditività d'impresa.

La Corte ha proseguito affermando che pare perciò legittimo anche l'obiettivo aziendale di salvaguardare la competitività nel settore nel quale si svolge l'attività dell'impresa attraverso le modalità, e quindi la combinazione dei fattori della produzione, ritenute più opportune dall’imprenditore. Considerato che – nella lettera dell’art. 3 della L. n. 604/1966 – non si rinviene alcuna limitazione tra le ragioni idonee a fondare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la tutela del lavoro garantita dalla Costituzione non consente di riempire di contenuto tale disposizione sino al punto da ritenere imposto che l'imprenditore possa ridimensionare la propria struttura imprenditoriale solo a condizione che debba fare fronte a sfavorevoli e non contingenti situazioni di crisi.

La Cassazione ha proseguito affermando che, fermo restando il vincolo invalicabile per cui l'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, essa è libera (come sancito dall’art. 41 Cost., co. I), nei limiti stabiliti dal Legislatore; a quest’ultimo, però, non può sostituirsi il giudice.

Spetta all'imprenditore stabilire la dimensione occupazionale dell'azienda, evidentemente al fine di perseguire il profitto che è lo scopo lecito per il quale svolge la propria attività: tale scelta è sicuramente libera nel momento in cui nasce l'azienda e si instaurano i rapporti di lavoro in misura ritenuta funzionale allo scopo. Al contempo, anche durante la vita dell'azienda l’individuazione del livello occupazionale dell'impresa rimane libera e non può essere sindacata al di fuori dei confini stabiliti dal Legislatore, non essendo affidato al giudice il compito di contemperare interessi confliggenti stabilendo quello ritenuto prevalente se un tale potere non trova riscontro nella Legge.

La Cassazione ha perciò concluso che, pur se ipoteticamente la Legge potrebbe stabilire che il licenziamento per motivo oggettivo possa ritenersi giustificato solo in presenza di una accertata crisi d'impresa, è anche vero che ove ciò non sia previsto espressamente, come nel caso dell’art. 3 della L. n. 604/1966, tale condizione non è ricavabile semplicemente in via interpretativa. A riprova di quanto affermato la Corte ha anche sottolineato che l’art. 30 co. I della L. n. 183/2010, in tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nella materie del lavoro privato e pubblico contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di recesso, impone che il controllo giudiziale sia limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento del presupposto di legittimità e non possa essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro.

La Suprema Corte, perciò, non ravvisando nella formulazione dell’art. 3 della L. n. 604/1966 o in altre norme di Legge una preclusione alla irrogazione del licenziamento per motivo oggettivo al fine di conseguire un miglioramento della redditività dell’impresa e, quindi, dei suoi profitti, ha accolto il ricorso del datore di lavoro, dichiarando legittimo il licenziamento.

Avv. Mattia Tacchini
www.novastudia.com



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