Il caso del “signor imperatore” – di Miguel Benasayag

Dal 6 all’8 settembre si svolgerà a Omegna la rassegna culturale Agorà – cultura per la vita quotidiana, la tematica trattata quest’anno sarà “L’umano tra ragione e sentimento”.

  
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Il 7 settembre, alle ore 15.30 presso il Parco Maulini – Area Forum di Omegna, è previsto l’incontro con Miguel Benasayag, filosofo, psicanalista e psichiatra di origine argentina. Nato nel 1953 Benasayag è stato per lungo tempo militante della guerriglia guevarista durante la dittatura militare del generale Videla in Argentina, catturato e torturato in carcere gli è stato concesso il trasferimento in Francia grazie alla sua doppia cittadinanza franco-argentina. Si è laureato a Parigi nel 1987 con una tesi in scienze umane cliniche, ispirata al suo periodo di detenzione nelle carceri argentine. La sua fama internazionale è iniziata nel 2004 dopo la pubblicazione del saggio, scritto assieme a Ghérard Schmit, “L’epoca delle passioni tristi”.

Parafrasando Spinoza, Benasayag critica l’epoca moderna caratterizzata dall’assenza di desiderio, assenza di passione, un’epoca fondata solo sulla funzionalità, sull’efficienza, sull’utilità dello scopo che ha perso di vista la complessità delle persone preferendo l’utilitarismo degli individui. Quest’epoca senza passione si riflette soprattutto sulle nuove generazioni che agiscono in funzione di un futuro presentato come minaccia e non più come promessa. In tale prospettiva tramonta ogni tipo di autorità, intesa come modello da seguire, o testimonianza del passato, necessaria per accedere al futuro. Ciò che viene insegnato è fare qualsiasi cosa senza desiderio perché è ciò che la società impone: “Se le persone non trovano quel che desiderano, si accontentano di desiderare quello che trovano”. Così sono sempre più diffuse le patologie psichiche nel mondo dei giovani che non si sentono all’altezza del compito da svolgere, si sentono inadeguati e anormali in una società che richiede la performance funzionale allo scopo.

Benasayag propone la riscoperta dell’”utilità dell’inutile”, ritrovare la passione per ciò che si fa, riscoprire la complessità della persona, valorizzare nel singolo ciò che può essere definita una fragilità e non osservare nell’individuo solo il sintomo del suo disagio etichettandolo attraverso il nome della sua patologia.

Per esemplificare il pensiero del filosofo argentino è opportuno conoscere un caso molto interessante analizzato dallo stesso Miguel Benasayag.

Alcuni anni fa Marc, un bambino di dieci anni, è venuto in ospedale per un colloquio. Come accade spesso in questi casi, il bambino preoccupava molto le persone che lo circondavano. La famiglia si era decisa a chiedere un colloquio in seguito a un’esperienza negativa in una colonia di vacanze dove un certo comportamento, che fino a quel momento era passato più o meno inosservato, era “esploso”.

Un lunedì mattina accolgo quindi questo bambino con i suoi genitori, visibilmente agitati (come la maggioranza dei genitori che accompagnano il figlio in un servizio di psichiatria, la loro angoscia è raddoppiata dalla paura implicita di essere giudicati: “Siamo dei bravi genitori? O saremo considerati delle persone che non hanno saputo educare i loro figli al punto che adesso, per il loro bene, la società dovrà occuparsi di loro?”). Mi raccontano che tutto è cominciato nella colonia di vacanze in cui Marc rifiutava di lavarsi nudo di fronte agli altri bambini. Poi Marc stesso mi spiega che, anche a casa si fa la doccia vestito con una specie di camicione e che si insapona attraverso il sottile tessuto. Mi spiega poi che gli istruttori della colonia erano molto turbati per quello che raccontava.

Marc aveva infatti spiegato, riprende la madre, di essere l’imperatore di un pianeta chiamato Orbuania e che, come imperatore di questo pianeta, veniva ogni giorno sulla terra in osservazione. Ma ogni notte lasciava il suo corpo e tornava nel suo pianeta dove riprendeva la sua normale vita da imperatore.

È necessario precisare che Marc aveva rivelato, nei vari test a cui era stato sottoposto in ospedale, un’intelligenza superiore alla media. E agli psicologi che gli avevano sottoposto i test aveva dichiarato di voler parlare del suo impero con qualcuno, ma che non voleva essere trattato “psicologicamente”. Gli ho chiesto perché. Dall’alto dei suoi dieci anni mi ha risposto che gli psicologi sono persone che non capiscono nulla delle cose, che interpretano tutto e che lui invece desiderava parlare, ma in modo più complesso e profondo, con un adulto che non lo catalogasse.

Non credevo alle mie orecchie: quel bambino mi stava dicendo che non voleva essere trattato come un sintomo. Mi diceva molto chiaramente che desiderava parlare, ma che quella conversazione non doveva cadere in un riduzionismo tecnico. Gli dissi immediatamente che io ero uno psicologo, ma che ero anche un filosofo, che la sua storia mi interessava molto e che desideravo parlare con lui anche se non capivo bene perché volesse parlare con qualcuno.

Tale fu il nostro primo patto, che restò intatto per oltre dieci anni di lavoro e di amicizia reciproca.

“Signor imperatore”, è così che ho cominciato molto presto a chiamarlo. Quell’appellativo è diventato il suo nome, o meglio il suo soprannome, che accettava con un certo piacere. E non ero il solo a chiamarlo così: le segretarie, vedendolo arrivare per la sua ora di discussione (non è mai stata una seduta), lo salutavano, senza alcun tono di scherno, dicendogli: “Buongiorno signor imperatore!”.

Un po’ alla volta, Marc mi descriveva il suo pianeta. Parlavamo anche della difficoltà di vivere sulla Terra, una difficoltà che sotto molti aspetti ci accomunava – con lo svantaggio per me che io, contrariamente a lui, non sono imperatore neanche per qualche ora al giorno. Fin dai primi incontri ho chiesto a Marc cosa pensasse della realtà di Orbuania. Sviluppò a questo proposito una teoria che non è mai cambiata nel corso degli anni, anche se con il tempo si è affinata. Orbuania e le sue costellazioni, i pianeti che dipendevano dal suo impero e i suoi nemici esistevano davvero, ma non poteva dimostrarlo. Mi proponeva quindi di adottare, a proposito dell’esistenza del suo impero, la “scommessa di Pascal” riguardo l’esistenza di Dio. Si può immaginare il mio stupore (e non sarebbe stato l’ultimo!) quando udii una tale proposta uscire dalla bocca di un bambino di quell’età! La realtà di Orbuania non dipendeva da una credenza personale, ma dal grado di esistenza determinato dalla “necessità” che tale oggetto esistesse…

Qualche anno dopo, quando Marc cominciava ad avere il profilo del matematico che è oggi, ha partecipato come uditore ad alcune riunioni, da me coordinate, con due ricercatori (un matematico e un fisico), in vista della stesura di un libro di logica matematica. Tra i soggetti che affrontavamo c’era il problema ontologico dello statuto di esistenza dell’oggetto della scienza. L’imperatore offriva il suo parere sui teoremi fondamentali di Gödel e di Cohen, tra gli altri. E appena poteva ci dava notizie di Orbuania, cosa che incuriosiva al massimo, come si può immaginare, gli scienziati miei complici, assolutamente incapaci di definire ciò che “esiste” o meno, e perfino di saper dire più o meno cosa questa parola significhi.

Questa storia non deve farci dimenticare ciò che non è ancora stato detto, cioè che Marc non è mai stato medicalizzato, che non è mai stato ospedalizzato in un reparto di psichiatria, né etichettato e non è mai rientrato in un programma di integrazione… Solo quando è entrato all’École normale supérieure, dopo aver fatto Matematica superiore e Matematica speciale, gli ho suggerito di dedicarsi alla ricerca anziché all’insegnamento e lui, condividendo il mio parere, ha seguito il mio consiglio.

A un certo punto di questa storia con Marc, gli ho proposto di realizzare un breve filmato in cui lui avrebbe descritto il suo impero e spiegato i delicati meccanismi di quel mondo in cui i due sessi non si distinguevano per nessun segno esteriore, essendo entrambi identicamente “piatti”, in cui il partito maggioritario era misogino, in cui le donne (che lui era il solo a poter identificare) erano geneticamente inferiori agli uomini e in cui i membri di un partito anarchico venivano sovvenzionati come clown ufficiali dell’impero.

Marc era molto interessato a realizzare un documentario audiovisivo, a patto che fosse rispettata una condizione preliminare, ovvero che il film non fosse utilizzato come “materiale psichiatrico”. Il documentario poteva essere mostrato a filosofi, ad antropologi o ad altri intellettuali, ma in nessun caso a dei tecnici che non vi avrebbero riconosciuto altro che sintomi, cioè che non vi avrebbero visto, per usare le parole di Marc, “niente”.

Possiamo enunciare a questo punto i principi-guida su cui si è basato il lavoro con Marc. Innanzitutto si tratta di dire chiaramente che le persone che ci consultano vanno molto bene così come sono. Non sono persone con dei “difetti di fabbricazione”: sono come sono e, insieme, cerchiamo di vedere come possono scoprire le loro potenzialità, come possono essere “non solo imperatori”, ma anche qualcos’altro, come per esempio nel caso di Marc, dei matematici.

In secondo luogo, il nostro lavoro può essere svolto molto bene mettendo tra parentesi una parte della realtà, al fine di costruire con i nostri pazienti quel terreno comune a partire da cui è possibile cominciare a comporre, a costruire e a camminare. Una “clinica della situazione” è quindi un lavoro di liberazione della potenza, di quelle potenze che Spinoza chiama “passioni gioiose”. Si tratta di evitare il cammino della tristezza, quello di un sapere normalizzatore che imprigiona l’altro nella sua etichetta. A partire da quel terreno comune, possiamo poi avviare un lavoro globale di scoperta e di sviluppo di possibilità, di potenze.

Richiamandoci a Blaise Pascal, il filosofo tanto apprezzato a Orbuania, possiamo dire che, nella “terapia di situazione”, “noi siamo in barca”. Sviluppare dei possibili non è nient’altro che il progetto dell’etica spinoziana, poiché (contrariamente a una clinica del sintomo, che sa al posto dell’altro) muoviamo proprio dal principio centrale dell’Etica: “Non si sa mai ciò che può un corpo”. Come abbiamo cercato di chiarire, questo non-sapere non rappresenta affatto un’ignoranza, ma favorisce al contrario il dispiegamento di tutti i saperi e di tutti i desideri, perché non condanna l’altro al suo sintomo-etichetta.

Oggi Marc è sempre imperatore, ma la cosa non lo disturba più… Perché, in quanto ricercatore e intellettuale, in quanto uomo, non è solo l’imperatore di Orbuania… E chissà, forse un giorno, in una limpida e fresca notte primaverile, disteso sul mio letto, farò finalmente un viaggio a Orbuania, nel pianeta in cui non ho un semplice amico, ma conosco qualcuno che è davvero molto influente…

Tratto da: M. Benasayag, Il caso del “signor imperatore”, in L’epoca delle passioni tristi.
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