Iracà: primarie vero strumento di democrazia?

Riceviamo da Felice Iracà, capogruppo della lista civica cittadiniconVoi, una riflessione personale sulle recenti primarie e "parlamentarie" del centro sinistra.

  
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Un successo per la democrazia. Un nuovo modo di far politica. L’inizio di una nuova era. Così è stata dipinta, da più parti e a più riprese, l’appena archiviata esperienza delle primarie e delle parlamentarie svoltesi in seno al più grande partito della sinistra italiana.

Ai due momenti menzionati, certamente, va riconosciuto il merito di aver risvegliato la passione, sopita in tanti militanti e non, e di aver dato avvio, in analogia al modello americano, ad un percorso aperto e democratico per la scelta dei propri candidati e papabili rappresentanti politici.

Una grande occasione-kermesse che ha mostrato, qualora ve ne fosse stato il bisogno, il grande potenziale appena “dormiente” di cui dispone la sinistra e il paese intero, costituito, soprattutto, da tantissimi giovani e donne che hanno avuto, finalmente, la possibilità di esprimere ed esprimersi, di esserci, di provarci.

Le primarie e le parlamentarie hanno dunque avuto il merito di svelare, raccontare e liberare energie e vivacità politiche in letargo, aprendo spazi, confronti e diritti di rappresentanza che, in qualsiasi nucleo d’aggregazione sociale, rappresentano il vero sale della democrazia.

Ma il modello americano è ancora lontano.
Le primarie e le parlamentarie ci hanno infatti insegnato che gli spazi, i confronti e i diritti di rappresentanza si ferman lì. Si ferman lì, al palo, perché il modello americano è ancora lontano, troppo lontano. Basta ricordare che, appena dieci anni fa, Barack Obama era (quasi) un emerito sconosciuto: poi, passo dopo passo e spazio dopo spazio, con la forza, la passione e l’energia delle proprie idee, è riuscito in un’impresa a dir poco inimmaginabile: un piccolo grande esempio di democrazia compiuta, di democrazia perfetta.

Le primarie e le parlamentarie nostrane ci hanno insegnato che le nostre piccole imprese, se paragonate al “miracolo” compiuto dal presidente americano, sono ancora lontane dal potersi realizzare. E il perché è presto detto: perché siamo ancora, purtroppo, un paese normale.
Un paese normale, dove la democrazia è ancora perfettibile.

Il nostro è ancora un paese normale nel quale, nei momenti cruciali, nonostante le buone intenzioni, gli spazi, i confronti e i diritti di rappresentanza, contano ancora i poteri forti. Ciò che conta è l’apparato. La nomenclatura, le correnti, gl’intoccabili. “La montagna ha partorito il topolino”, e queste primarie-topolino forse forse, a pensarci sù, erano anche un po’ scontate: Davide contro Golia, una lotta a dir poco impari.

Mettiamoci l’anima in pace, perché questa è una vicenda vecchia come il mondo: da sempre, la storia insegna che le più grandi lotte si fanno in famiglia, Caino contro Abele docet.
A pensarci bene, però, il vero dramma non s’è consumato/esaurito all’apertura delle urne, ma, a me pare, continui a consumarsi anche dopo, oggi, domani e chissà per quanto tempo ancora, non volendosi tener conto della bella fetta di votanti dei perdenti, non valorizzati veramente, rifilati in un cantuccio e additati, seppur non ufficialmente, quali untori che hanno osato sfidare l’intoccabile di turno.

Ecco perché, assieme agli innegabili e riconosciuti meriti, le appena concluse primarie-parlamentarie rischiano di passare alla storia come l’ennesimo momento di autolesionismo della politica.
Qualcuno, con estrema ratio e ragionevolezza, tenderà ad obiettare: meglio farle che non farle, come succede in casa d’altri. Giusto, giustissimo. Ma il modello americano è ancora lontano, troppo lontano. Per non parlare del sogno, poi.

Felice Iracà

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