Coldiretti: preoccupazione per troppi cinghiali

Gli effetti della presenza incontrollata dei cinghiali in Italia e sul territorio del Novarese e Vco sono preoccupanti: per il loro numero, più che triplicato nel primo decennio degli Anni Duemila. La Coldiretti Novara e VCO lancia l'Allarme.

  
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Gli esemplari sono passati da 300.000 a 900.000 unità su base nazionale, dati comunque sono incompleti in quanto la banca dati Ungulati non fornisce un’esatta fotografia della situazione, mancando un sistematico flusso di dati da parte delle Regioni sulla presenza della specie.

Numero cresciuto costantemente sino ai giorni nostri; per le continue invasioni e razzie nei campi e pascoli coltivati; e, non da ultimo, per la sicurezza stradale, come confermano i numerosi incidenti che si continuano a registrare anche sulle strade delle due province.

Anche il workshop organizzato lo scorso dicembre a Bologna dall’Associazione Teriologica Italiana (associazione che promuove la ricerca scientifica nell’ambito dello studio dei mammiferi) e Ispra (Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, ente altresì deputato all’approvazione dei piani di abbattimento) sul fenomeno della fauna selvatica e dei danni provocati all’agricoltura e alla sicurezza stradale. Si è rilevato come la specie cinghiale sia oggi la più dannosa in assoluto; nella stessa sede sono stati illustrati i risultati prodotti dagli studi condotti dal mondo scientifico sulla capacità di riproduzione della specie e sul comportamento, e si sono tratte alcune indicazioni su come poter contenere la specie.

“Sono già 20 anni che la presenza della specie crea un impatto negativo sul territorio in termini economici e sociali. Alle specie autoctone presenti sul territorio italiano si sono aggiunte a causa di inopportuni ripopolamenti effettuati dalle associazioni venatorie, altre specie provenienti dall’Asia e dai paesi dell’Est che hanno determinato un’ulteriore diffusione della presenza della specie nel nostro Paese a volte incrociandosi anche con maiali allo stato brado e dando luogo a specie ibridate: la situazione sul territorio delle due province è sotto gli occhi di tutti, con una proliferazione continua e un’azione di contenimento che, oggi, è chiaramente insufficiente a contrastare il continuo espandersi della specie”.

L’elevata capacità riproduttiva della specie dipende dalle assidue cure parentali, da lenti ritmi di crescita, da una straordinaria capacità di adattamento e di sopravvivenza tanto che il cinghiale può vivere fino a 17 anni.

Ma il dato più sorprendente “è che anche l’attività venatoria condotta senza alcun controllo sul territorio, favorisce di fatto la riproduzione della specie che avvertendo il pericolo dell’estinzione tende a riprodursi ancora di più mentre una pressione venatoria importante operata su animali presenti in un raggio di 2 km dalle aree protette tendono, per effetto del disturbo venatorio, a spostare l’area vitale degli animali dentro la zona protetta”.

Gli studi dimostrano come i cinghiali abbiano un impatto negativo sull’ambiente consistente in un’alterazione della composizione chimica del terreno a causa dell’attività continua di scavo alla ricerca delle radici, determinando così una perdita della fitomassa vegetale, una perdita di compattezza del suolo, fenomeni di erosione, evaporazione dell’acqua, diminuzione dei nutrienti del suolo (sodio, magnesio, potassio, carbonio), un aumento dei composti azotati e un danneggiamento ambientale ed economico delle aree destinate a pascolo. La profondità dello scavo varia dai 5 cm ai 30 cm. Risulta, quindi, evidente il danno economico provocato ai terreni agricoli.

Inoltre, la gestione della specie deve essere supportata, secondo gli esperti, da un monitoraggio standardizzato, diffuso e costante degli impatti economici e delle popolazioni per cui si richiede che la banca dati dell’Ispra diventi uno strumento in grado di fornire un quadro preciso della presenza della specie nelle diverse Regioni, nonché una raccolta esaustiva dei dati sui danni, sull’efficacia delle misure di prevenzione e sull’attività di prelievo. Rispetto a quest’ultimo punto, un elemento di preoccupazione, da parte del mondo scientifico, deriva dal fatto che dal 2007 ad oggi il numero di cacciatori è sensibilmente, diminuito per cui da 700.000 unità si è arrivati nel 2014 a circa 600.000 e le previsioni per il 2025 sono per un ulteriore riduzione al di sotto delle 300.000 unità, così che verrebbe meno uno dei principali strumenti di controllo della specie.

Come ha sempre sostenuto Coldiretti, “è basilare limitare al massimo la presenza dei cinghiali dove l’attività agricola è prevalente. Rispetto alle misure di prevenzione le recinzioni elettrificate funzionano se sono sostituite dai materiali giusti ed impiantate correttamente, ma in ogni caso non garantiscono la totale impermeabilità. I repellenti, invece, è dimostrato come non abbiano alcun effetto.

Circa gli strumenti di controllo della specie è emerso che la sterilizzazione è irrealizzabile praticamente ed economicamente insostenibile, dati i costi dell’intervento su larga scala, mentre è necessaria una diversificazione ed un miglioramento delle tecniche di prelievo che va intensificato, abbattendo almeno il 65% della popolazione pre-riproduttiva, aumentando i prelievi degli animali di età inferiore ad un anno e delle femmine adulte, incrementando l’uso di tecniche più selettive e ricorrendo alla braccata.

A tale proposito, gli esperti ritengono che questo sia il metodo di caccia più efficace sempre se gestito previa autorizzazione e vigilanza delle autorità competenti, da cacciatori professionisti”.

E’, poi, importante la modifica e l’adeguamento del quadro normativo per cui, nell’ambito della l. 157/1992 occorre prevedere il prelievo venatorio del cinghiale anche nelle aree a divieto di caccia ed il divieto di foraggiamento tranne quello strettamente necessario per favorire le catture e gli abbattimenti selettivi.

A fronte di queste risultanze provenienti dal modo scientifico, Coldiretti ha proposto un ampliamento del periodo di caccia al cinghiale, tramite una modifica dell’art. 18 della l. 11 febbraio 1992 n. 157, che andrebbe previsto dal 1° settembre al 31 aprile ed ha ricordato l’importanza della norma proposta nell’ambito del collegato ambientale, che vieta l’immissione di cinghiali su tutto il territorio nazionale, ad eccezione delle aziende faunistico-venatorie e delle aziende agri-turistico-venatorie adeguatamente recintate.

Occorre prevedere, poi, a carico di chiunque violi il divieto di immissioni di cinghiali una sanzione amministrativa da 1000 a 10.000 Euro.

Coldiretti ha, infine, proposto che sia modificato il quadro legislativo affinché, quando le misure di gestione ordinaria e di prevenzione dei danni da fauna selvatica si rivelano inefficaci, ci sia una legittimazione dei Sindaci ad adottare ordinanze contingibili ed urgenti per autorizzare misure straordinarie di controllo faunistico, nei casi in cui, in sede locale, a causa della fauna selvatica, possano verificarsi pericoli imminenti tali da minacciare l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana.

“Linee di indirizzo che mettiamo prontamente a disposizione di tutti i soggetti interessati, dalla Provincia, agli enti locali, alle aree protette, in particolare il Parco del Ticino e del Lago Maggiore, che ha stilato un ‘piano di gestione e controllo demografico del cinghiale che, a nostro avviso, appare del tutto inadeguato, poichè non rivolge nessuna attenzione all’attività agricola”.
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