Verbania documenti: "Il Cotonificio Verbanese"

Riceviamo e pubblichiamo, un contributo di Verbania documenti per il progetto de "La Città operaia", il sesto capitolo dell'individuazione delle eccellenze dal rione San Bernardino, "Il Cotonificio Verbanese".

  
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Breve storia della fabbrica, a cura di Bruno Lo Duca ( informazioni tratte da Eco Sistema del Verbano)
Nell’800 Intra era chiamata la Manchester del Verbano, in virtù del fatto che la sua area urbana era caratterizzata da insediamenti industriali per la lavorazione del cotone. Lo sviluppo delle attività produttive ebbe un’impennata, quando si intravvide la possibilità di trarre vantaggio dall’energia idraulica per azionare meccanicamente più telai di cardatura. Si passò dalla produzione artigianale alla produzione industriale.

Una semplice lapide in via Ceretti ricorda che l’Italia aveva in Intra la sua prima filatura meccanica del cotone.
Si progettarono e si costruirono delle “rogge”, vere e proprie canalizzazioni di acqua proveniente dai torrenti
S. Bernardino e S. Giovanni, che permettevano di convogliare le acque fino alle pale idrauliche, che azionavano i telai attraverso ingegnosi sistemi, di cinghie, ruote e alberi di trasmissione dal moto idraulico al moto meccanico.
Così fu anche per il Cotonificio Verbanese s.p.a. di Pallanza, sulla destra orografica del S. Bernardino.

Lo stabilimento fu aperto dai fratelli Müller dopo il 1811, svizzeri di Zofingen, e già nel 1830 contava circa 180 addetti alla filatura e alla tessitura. Nel 1852 la gestione fu ceduta a Giovanni e Carlo Cornelio Sutermeister, loro parenti svizzeri, sempre di Zofingen.

Quando il padre Giovanni morì, i figli divisero la proprietà e la Ditta passò a Carlo Sutermeister. Dal 1890 circa lo stabilimento impiegava macchine con motori alimentati da corrente elettrica prodotta dai Sutermeiste nella centrale situata lungo il San Bernardino, nel territorio del comune di Cossogno. Una lapide sulla facciata del municipio di questo comune la ricorda come prima centrale elettrica costruita in Italia.

Nel 1902 la Ditta assunse la nuova ragione sociale “Cotonificio Verbanese C. Sutermeister”, quindi si trasformò nel 1911 in “Cotonificio Verbanese” s.p.a.

Nei primi del 1900 ci furono delle evoluzioni edilizie, con l’introduzione di nuove macchine per la lavorazione del cotone e, accanto allo stabilimento, vennero costruite anche delle case operaie.

Nel 1951 una permuta di terreno con il Comune di Verbania consentì di spostare la strada comunale che separava le due parti della fabbrica e di ristrutturare/riorganizzare nuovamente lo stabilimento in un'unica sede.

Nel 1949 si contavano 530 operai, ma il numero era destinato a calare e negli anni ’80 gli addetti scesero a 110. Attualmente il Cotonificio Verbanese non è più produttivo, essendo stato trasformato in un vasto magazzino per la "vendita all'ingrosso di filati e tessuti di cotone".

Presso il cotonificio resiste intatta l’ultima ciminiera, testimonianza della realtà industriale dell’800.

Le numerose ciminiere, che costellavano il nostro paesaggio cittadino, erano opere edili interamente fatte di mattoni, impilati ad arte. Oggi sono ottimi esempi di archeologia industriale.

Il Cotonificio Verbanese nel 1817 (da “Archeologia industriale”di Luca Frigerio)

IL COTONIFICIO VERBANESE: testimonianze dirette
di Carlo Alberganti

Nel gennaio del 1970 venni eletto segretario della Camera del lavoro del Verbano. Una delle prime assemblee alle quali ho partecipato, conquistate con lo Statuto dei lavoratori, si è tenuta proprio al Cotonificio, nel pieno degli scioperi per il rinnovo del contratto nazionale dei tessili. Fino ad allora il sindacato non era presente in quella fabbrica, ma - dopo l'illustrazione della piattaforma contrattuale - venne eletto il primo Consiglio dei delegati, composto da sole donne (che erano la maggioranza del personale). Vennero elette Esterina Peretto, Luisa Aresi, Luciana Del Monico, Adelaide Stivanello e Graziosa Rubini (che si iscrissero alla Cgil); in quel clima dei primi anni '70 non fu un'operazione difficile.

Mail mio primo impatto con quella realtà fu di grande sorpresa: mi sembrava di essere entrato in un'azienda di fine '800 e mi vennero in mente i racconti di una vecchia signora (che io chiamavo nonna), che aveva lavorato da quelle parti proprio alla fine del 1800. Però, il clima tra le lavoratrici era buono; i tremendi anni '50-'60 stavano cambiando ed era palpabile la volontà di non subire e di rivendicare maggior salario e migliori condizioni di lavoro.

Esterina Peretto è ancora attiva nella Cgil; tutte le mattine aiuta i pensionati a Pallanza nella sede di Villa Olimpia. E' qui davanti a me e mi dice che non avrebbe mai pensato di "fare carriera" da quel 1970.

Le chiedo come fosse la vita in fabbrica allora. Mi risponde: Sono entrata nel 1952, il 16 maggio; la cosa che più mi spaventò fu la polvere, anche se non ovunque nello stabilimento. E questo ha avrà pure avuto qualche conseguenza sulla salute di chi la doveva respirare.

E, inoltre, subivamo soltanto, non c'erano diritti. Appena elette abbiamo presentato le nostre richieste: aumento del salario, riduzione dei carichi di lavoro, miglioramento dell'ambiente. E così qualcosa si è modificato: non si sono ridotti i carichi di lavoro, ma la polvere sì. Potevamo discutere con la Direzione e abbiamo conquistato il contratto nazionale. Finalmente anche il padronato (allora lo chiamavamo così) ha dovuto prendere atto del cambiamento sociale in corso nel nostro Paese.

La cosa che più ricordo - dopo tanti anni dal pensionamento - era la solidarietà, la collaborazione di fondo con le mie compagne. L'attività sindacale rafforzava anche le relazioni umane e familiari. Non eravamo più delle macchine al servizio di un'organizzazione. pensavamo a come lottare in fabbrica, ma anche a migliorare le nostre relazioni umane; le nostre amicizie si sono consolidate in quella fase della nostra vita. Sono stati anni intensi, anche se non sono mancati momenti tristi, ma questa è la vita. Le dico: insomma, Esterina, la tua scelta di militanza nel sindacato ti ha cambiato e di questo devi essere orgogliosa. SI', mi risponde con piena convinzione.

Ovviamente, la trasformazione radicale operata dal Cotonificio, da stabilimento produttivo a magazzino all'ingrosso di filati e tessuti di cotone, ha ridotto a poche unità il personale e le "operaie" di cui abbiamo parlato si vedono solo nelle vecchie foto d'epoca.

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