De Gregori non verrà dopo le critiche di Zacchera

E' questa la notizia che rimbalza oggi sui media locali, il forfait sarebbe dovuto alle polemiche innescate dalla lettera aperta indirizzata al sindaco Marchionini da Marco Zacchera, che avrebbe spinto la società che gestisce i concerti di Francesco De Gregori ad annullare l'impegno. Riportiamo le parti della newsletter Il Punto di Zacchera riguardanti l'inaugurazione del CEM o Il Maggiore e l'assemblea di Veneto Banca.

  
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VERBANIA: CEM STORY (e la sindaco non risponde…)
La storia è in fondo molto semplice e chi vuol conoscerla meglio può leggerla nella documentata “lettera aperta” che ho inviato lunedì al sindaco e ai consiglieri comunali di Verbania e che è integralmente riportata nell’allegato.
In poche parole l’inaugurazione del CEM-Il Maggiore, il teatro che condiziona la vita politco-amministrativa della città ormai da un decennio, non si farà con il “botto” di una grande esclusiva e attesa artistica e neppure alla presenza (doverosa) del Presidente della Repubblica o del Premier vista l’importanza dell’opera ma ora – pare – neppure del ministro Franceschini.
Soprattutto tutto lascia pensare che la confusione regni sovrana visto che - mentre la direttrice artistica ha illustrato come debutto lo spettacolo di De Gregori che interpreta Bob Dylan, ovvero quello della sua tournee 2016 peraltro presentata in tutta Italia e il 5 aprile anche a Varese - ho scoperto che l’amministrazione per 42.700 euro di soli cachet (poi ci sono tutte le altre spese non ancora ben identificate), ne ha invece scritturato un altro, ovvero la “fu” tournee di De Gregori dell’anno scorso, "Vivavoce in tour", con il repertorio 2014 e tra l’altro con un contratto-capestro.
Pasticcio, incomprensione, poca pratica con queste cose? Sicuramente a un sindaco che mi urla dietro “Zacchera abbia la decenza di tacere!” (e peggio) ma non risponde nel merito insisto consigliando pacatamente di leggersi gli atti della sua amministrazione e i contratti sottoscritti.
Io ho solo evidenziato educatamente quello che qualunque cittadino armato di curiosità, logica e buon senso dovrebbe fare semplicemente leggendo gli atti pubblicati. La polemica politica non c’entra un bel niente e ci tengo a sottolinearlo a chiare lettere, perché se si trattasse di uno spettacolo unico “configurato” apposta per Verbania - come il Sindaco per correre ai ripari si ostina a dichiarare - andrebbe indicato espressamente e dettagliatamente nei contratti e nel cottimo fiduciario alla Show Bees (che è solo un intermediario e non l’agenzia ufficiale dell’artista). Intanto per questo “eccezionale evento” la serata di Verbania non appare ancora né sul sito di De Gregori, né sulla pagina ufficiale dell’agenzia dell’artista. Forse c’è troppa gente “arruolata” che ci sta mettendo le mani? Siamo ad almeno 6 (sei) strutture diverse che dovrebbero coordinarsi meglio tra loro perché alla fine sembra esserci solo un caos inenarrabile che ricorda molto lo spettacolo (magari da mettere in scena proprio al CEM!) “L’apprendista stregone”.
Di nomina in nomina, sub-affitto a sub delega, spezzettando volutamente i contratti per evitare le gare ma con costi di organizzazione complessivi pazzeschi e che si mangiano le somme disponibili per gli spettacoli - come documentato su IL PUNTO di un mese fa – il CEM-Maggiore si avvia ad un avvio parziale e sottotono nonostante lo stanziamento annunciato di 200.000 euro.
Peccato, ma leggete l’allegato ed avrete (amaramente) modo di riflettere…

VENETO BANCA: QUANDO ANCHE LE FORMICHE SI INC….
Grazie anche ai numerosi lettori de IL PUNTO che mi hanno delegato all’assemblea di Veneto Banca giovedì a Mestre – incredibile ma vero – alla fine abbiamo vinto noi.
Noi “piccoli” azionisti, formiche che però dimostrano che quando si uniscono e si incavolano possono dare l’assalto – vincente – anche al castello. Un castello ormai rovinato e saccheggiato, ma dove forse si potrà ricostruire qualcosa. Perché a Mestre eravamo in tanti a crederci e la coda delle auto per i parcheggi cominciava ben prima di Marghera con targhe di mezza Italia.
Un’assemblea con i carabinieri schierati all’ingresso a confermare aria di battaglia per questa ex “popolare” finita nel tritacarne, con il capitale ridotto a zero e 28.000 azionisti che ci hanno lasciato i risparmi e con i dipendenti angosciati sul loro futuro: logico che tutti erano infuriati e alla fine a votare siamo stati più di 6.000.
Tra di loro gruppetti di ascari spaesati, i soci delle ex banche assorbite dalla Veneto: baresi della Apulia, piemontesi e varesotti ex Banca Popolare di Intra, marchigiani di Fabriano.
Gli ultimi arrivati alla corte di Montebelluna e che si sentivano ancora più truffati degli altri perché “Chi si somiglia si piglia” dicevano gli slogan al momento delle fusioni tra le nostre banche locali ma, conguagliando le nostre vecchie azioni, ci siamo presi soprattutto una grande fregatura.
Ma come è mai possibile che la decima banca che sembrava solidissima si ritrovi nei guai e sommersa dalle perdite con azioni che da 40 euro in due anni sono adesso vicine allo zero virgola?
Solo per crediti fasulli, garanzie incrociate patacca o c’è sotto qualcosa di più?
A Mestre i giornali strillavano dalle locandine “Renzi: le banche venete si sono rubate i soldi” ma se c’era un simbolo criticato nei commenti in sala era proprio il governo: “Dov’erano Renzi e le autorità di controllo, la Banca d’Italia, la Guardia di Finanza, l’Europa?”
Si è urlato parecchio mentre lo schermo della sala trasmetteva all’inizio spot pubblicitari che sembrano ormai fuori dal tempo, con bambini ridenti che sereni guardavano al futuro tra antichi uliveti e bei paesaggi (i nostri) e con tante dipendenti carine, slanciate e sempre tutte sorridenti.
Un Expovenice ben diverso dagli spot, pieno di umori e di rumori, dove è sembrato che l’assemblea fosse in pugno al consiglio uscente, con slides che attaccavano da subito i dissenzienti (dopo essersi fatto pubblicità in modo scorretto e a spese della banca, come il paginone autoreferenziale su LA STAMPA di domenica scorsa) introducendo un sistema di voto sui generis con schede nominali e perfino da firmare: ve lo vedete un dipendente-socio votare pubblicamente contro i propri dirigenti? Eppure è successo.
L’amministratore delegato Cristiano Carrus (emolumento 1.200.000 euro l’anno!!) ha presentato con indubbia abilità un bilancio 2015 che chiudeva con 827 milioni di perdite e ha parlato del futuro, ma quando si è aperto il dibattito sono usciti tutti i maldipancia con la reiterata richiesta di una azione di responsabilità verso gli ex amministratori e soprattutto i sindaci e la società di revisione che hanno sempre certificato la correttezza di bilanci e che - a posteriori - appaiono decisamente poco credibili.
Agli interventi coloriti si intervallavano quelli dei legali, professionisti, comitati di protesta, difensori d’ufficio (pochi) degli amministratori. Si chiedevano le dimissioni del presidente Pierluigi Bolla che era già al suo posto con gli amministratori precedenti (e ha condotto l’assemblea in modo piuttosto partigiano) ma pian piano sembrava prevalere la rassegnazione. Invece, finalmente arrivati alla conta, tanti “piccoli” (e qualche “grande”) hanno vinto con oltre il 57% dei voti e adesso si può cercare almeno di cambiare pagina mentre si deve aprire con serietà e rigore il discorso sui perché del “buco”, sui crediti concessi senza garanzie, sulle omissioni di controlli e di intervento dei vari organismi che avrebbero dovuti farli.
Un discorso che trascende l’happening di Marghera per toccare il tasto più sensibile della realtà bancaria italiana. La BCE fa la parte della “cattiva”, ma quanta approssimazione c’era – e forse c’è ancora – nella gestione del credito in Italia? Soprattutto nelle “popolari” non quotate, con giri sospetti sulle azioni e le relative garanzie. Quanti crediti sono stati condizionati ad acquisti di titoli propri per sostenerne il valore? Anche per questi motivi – almeno per Veneto Banca – in molti si sono chiesti se trasparenza e responsabilità non debbano coniugarsi con chirurgiche azioni legali di responsabilità.
L’impressione è che ci fosse una distanza siderale tra migliaia di azionisti che hanno perso tutto, dipendenti che rischiano l’esubero e amministratori che si autoliquidavano 90.000 euro l’anno (ma ai vertici molti di più) oltre a cospicui gettoni e rimborsi spese.
Sarà dura e forse il destino è già scritto con la Veneto Banca, come tanti altri istituti, che finirà dritta nel “fondo Atlante” un po’ come i “cugini” della Vicenza. Un “fondo” che comincia ad essere perfino troppo potente e che condizionerà il futuro della finanza italiana. Poi il voto e, a sorpresa, un esito senza appello: i “piccoli” diventano maggioranza e gli uscenti spediti a casa. Inimmaginabile alla vigilia, anche se i problemi della “Veneto” sono appena cominciati e il futuro – molto incerto – è ancora tutto da scoprire.
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