LegalNews: Vendita di immobile senza certificato di abitabilità

La Suprema Corte con la recentissima sentenza n. 2294 del 30.01.2017 è tornata ad esaminare il tema delle conseguenze della vendita di un immobile privo del certificato di abitabilità.

  
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Il caso sottoposto all’esame della Cassazione è il seguente: due soggetti acquistavano in data 23.5.2002 un immobile sito in una palazzina bifamiliare suddivisa in due porzioni verticali; nel mese di maggio del 2003 gli acquirenti avevano constatato la presenza al piano terra di forte umidità da risalita capillare e ne avevano fatto denuncia, rilevando inoltre che l’immobile non aveva certificato di abitabilità, pur se il venditore nel contratto di compravendita si era impegnato espressamente a farlo conseguire agli acquirenti, sostenendo le relative spese.

Considerato che il venditore non aderiva alle richieste formulategli, gli acquirenti incaricavano un tecnico di eseguire una perizia sull’immobile: egli concludeva nel senso che la causa dell'umidità era da individuare nella inadeguata ovvero nell'omessa esecuzione di taluni lavori; essi perciò incardinavano una procedura di accertamento tecnico preventivo nell'ambito del quale il consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice redigeva apposita perizia.

Gli acquirenti successivamente convenivano il venditore in giudizio, chiedendo che venisse condannato a pagare loro la somma di Euro 35.272,14, quale importo corrispondente al costo per l'esecuzione dei lavori necessari al fine di conseguire il certificato di abitabilità dell'immobile. Il venditore si costituiva eccependo la prescrizione dell’azione esperita dagli attori ai sensi dell’art. 1495 c.c. e, comunque, chiedendo il rigetto delle domande giudiziali formulate. Sia in primo che in secondo grado le richieste degli acquirenti dell’immobile venivano accolte: il venditore, perciò, ricorreva per cassazione.

La Cassazione, preliminarmente, ha rigettato l’eccezione di prescrizione formulata dal venditore ai sensi dell’art. 1495 c.c., il quale prevede che l’azione per far valere vizi della cosa venduta si prescriva nel termine di un anno dalla consegna della cosa. Gli acquirenti, infatti, facendo valere la mancanza di certificato di abitabilità dell’immobile in realtà avevano agito ai sensi dell’art. 1497 c.c., il quale disciplina la vendita c.d. di aliud pro alio, ossia il caso in cui l’oggetto della compravendita non sia semplicemente viziato, bensì risulti sprovvisto delle caratteristiche e qualità essenziali per l’uso al quale è destinato. In caso di vendita di aliud pro alio la norma da ultimo citata, oltre a permettere la risoluzione del contratto entro il termine previsto dall’art. 1495 c.c., già decorso al momento dell’incardinamento dell’azione nel caso di specie, consente all’acquirente di agire per il risarcimento del danno: proprio questa era la strada percorsa dagli acquirenti.

La Suprema Corte ha infatti puntualizzato che integra ipotesi di consegna di aliud pro alio il difetto assoluto della licenza di abitabilità ovvero l'insussistenza delle condizioni necessarie per ottenerla a causa della presenza di insanabili violazioni della legge urbanistica. Il venditore di un immobile destinato ad abitazione, infatti, ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso risulta incommerciabile; la violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno (come nel caso di specie), sia l'eccezione di inadempimento e non può essere sanata dal fatto che il venditore, al momento della stipulazione della compravendita, abbia già presentato una domanda di condono per sanare l'irregolarità amministrativa dell'immobile.

La Suprema Corte, perciò, ha confermato le statuizioni dei giudici di merito, rigettando il ricorso del venditore.

Avv. Mattia Tacchini
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