Scienze Umane tra mission educativa e necrofilia amministrativa

Sui giornali e i siti web della nostra zona si parla da giorni dello “spostamento” o del “trasferimento” dell’indirizzo di Scienze Umane del Cobianchi ad altra scuola (il Liceo Cavalieri).

  
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Riprendiamo dal sito Fractaliaspei un articolo sullo spostamento di Scienze Umane del Cobianchi


Vengo subito al punto: non si tratterebbe né di uno spostamento né di un trasferimento ma di una chiusura. Spiego brevemente il perché: un corso di studi non è una scatola vuota che si possa spostare altrove. È un insieme di risorse umane, di insegnanti e studenti e di pratiche (soprattutto buone pratiche) professionali ed educative. Il cosiddetto trasferimento sarebbe in realtà la chiusura di una esperienza quarantennale e l’apertura in un’altra scuola di un corso con lo stesso nome e la stessa griglia oraria, ma non con lo stesso corpo docenti visto che Scienze Umane ha un corpo docenti consolidato di ruolo al Cobianchi e il nuovo corso al Liceo dovrebbe naturalmente attingere a quest’ultimo corpo docenti e ad eventuali insegnanti (probabilmente precari) di nuova nomina.

In sostanza quarant’anni di sperimentazione e innovazione educativa verrebbero soppressi paradossalmente per la “colpa” di aver successo, di attrarre troppi studenti. Merito degli attuali studenti di Scienze Umane l’aver espresso con efficacia tutto questo con un breve video.

Responsabilità di giornalisti frettolosi questo equivoco che evidentemente non è solo terminologico? Non direi.

Mi pare piuttosto il frutto della una logica burocratica con cui l’amministrazione pubblica sembrerebbe voler affrontare la questione. Qui ci sono molti studenti, là ce ne sono pochi e allora “trasferiamo il corso” quasi appunto fosse una scatola vuota.

Perché logica burocratica? L’ottica del “bravo” burocrate è quella di fare tutto seguendo rigidamente le norme in modo tale che chiunque altro al suo posto (e rispettoso del mandato) si comporterebbe allo stesso identico modo. Insomma la variabile umana è irrilevante. Non solo, ma il burocrate rivolge lo stesso sguardo al mondo esterno interpretandolo a sua immagine e somiglianza. Se un corso ha lo stesso nome e la stessa griglia oraria cosa cambia? (con quali docenti e quali studenti è insomma irrilevante).

Quando sabato scorso al “Festival delle Scienze umane” ho espresso concetti analoghi, l’ex collega Guido, attualmente preside (pardon “dirigente scolastico”) mi ha poi giustamente osservato “guarda che ormai il termine ‘burocrazia’ non si usa più, oggi si parla di ‘pubblica amministrazione’ e quella logica è, almeno a parole, osteggiata anche dal ministero”.

Certo, in una società complessa, che cambia di continuo, l’elemento umano, la sua capacità di affrontare problemi nuovi, di trovare soluzioni, di innovare diventa sempre più essenziale. E non è il caso che uno dei siti web più interessanti sull’innovazione sia appunto il Forum della Pubblica Amministrazione (Forum PA).

E allora mi correggo e, riprendendo un editoriale proprio da questo sito, sostituisco il temine burocrazia con quello più aggiornato di necrofilia amministrativa e quello di burocrate con “necrofilo amministrativo”

“Il necrofilo amministrativo aborre, quindi, qualsiasi scelta soggettiva, qualsiasi attribuzione di valore che non derivi da un algoritmo …Il necrofilo amministrativo vive bene tra i tagli lineari, con l’ossessione continua della spesa che vede sempre come un costo e mai come un investimento, odia pensare ai risultati e alla missione della sua amministrazione che percepisce come astorica e quindi svincolata dal tempo e dai bisogni; non sa immaginare modi per risolvere problemi reali, ma solo per portare avanti atti e pratiche, ampliando, se può e gliene si dà spazio, il corpus normativo che per lui non è mai troppo dettagliato, mai completamente esauriente. Non guarda fuori dal suo palazzo, considera proibito tutto quello che non è esplicitamente contemplato da qualche articolo di legge”.

Sabato 7 dicembre: Festival delle Scienze Umane

Sabato scorso, come accennavo prima, si è svolto, in anticipo rispetto agli altri anni, l’ormai tradizionale incontro tra studenti del corso ed ex allievi che costituisce un momento efficace di orientamento per gli studenti delle ultime classi valorizzando le esperienze universitarie, lavorative e professionali degli ex studenti. Quest’anno l’incontro, proprio come risposta alla ventilata chiusura, è diventata l’occasione anche per presentare a famiglie, giornalisti, ex docenti, ex allievi alcune delle esperienze in atto nell’attuale Liceo delle Scienze Umane del Cobianchi. Il clima non era quello di un funerale ma quello di una dirompente vitalità. Solo una assenza, questa sì inquietante, si notava, quella dell’attuale dirigente scolastico.

Non sto a commentare i diversi progetti, sia del biennio che del triennio: da “Psicologia e cinema”, al corso di Animazione, alla partecipazione a convegni e pubblicazioni, a “Dire, fare, studiare” percorso educativo e mediale di integrazione linguistica per studenti di origine straniera, a “Cobipad e media education” progetto per cui nell’attuale classe IV A i libri di testo sono stati sostituiti con il tablet: tutte esperienze che, come è stato di volta in volta esemplificato e ribadito, non solo introducono “novità” di contenuti e di strumenti ma necessariamente una ristrutturazione della didattica e dei rapporti fra gli studenti e fra insegnanti e studenti. Progetti che da un lato valorizzano il gruppo classe come soggetto collettivo in cui si progetta e sperimenta e dall’altro, come hanno ripetuto di continuo sia studenti attuali che ex allievi, si rapportano a ciascuno con le sue specificità e capacità. Un ex allievo ha detto “Io venivo da un’altra scuola e quando sono arrivato qui mi sono subito accorto che questo era un altro mondo: non ero un semplice studente, un numero; qui ero una persona.”

Non era difficile capire quel giorno come questo tipo scuola non possa essere trasferita altrove. Senza un corpo docenti che non solo ha mantenuto memoria di una tradizione quarantennale, ma ha saputo man mano innovare rispondendo ai nuovi bisogni educativi e professionali. Senza un contesto come quello del Cobianchi dove i diversi indirizzi tecnici e scientifici interagiscono arricchendosi con le reciproche risorse umane, professionali e tecnologiche.



Un danno per la scuola, un danno per la comunità

La risposta a problemi complessi non può essere individuale, l’innovazione – in tutti i campi – è frutto di una ideazione, progettazione, sperimentazione collettiva, di equipe. A maggior ragione nel campo educativo. Tutte le ricerche in questo ambito da tempo hanno dimostrato come la qualità dell’educazione sia in stretta relazione alla capacità del corpo dei docenti di un corso di “far squadra”, di agire in sintonia.

Cercavo di chiarire, quando ancora insegnavo, questo concetto ai colleghi con un noto esempio. La mafia, la criminalità organizzata è un fenomeno estremamente complesso: il singolo magistrato da solo è impotente. Per combattere in modo efficace la mafia è stato allora costituito il pool antimafia, osteggiato, penso non casualmente, da molti. Fatte le debite e doverose differenze anche educare è un lavoro complesso: cambiano gli studenti, cambia la società, cambiano le professioni. Il singolo insegnante da solo è insufficiente; il lavoro di squadra permette di ideare, progettare e sperimentare al passo coi tempi e valorizzando le individualità e le competenze sia nel corpo docente che nel gruppo classe.

Smantellare il corpo docenti di Scienze umane vorrebbe dire non solo disperdere quel patrimonio ormai storico di una sperimentazione nata nel 1974 e quell’equipe di docenti, ma anche andare a scompaginare le equipe degli altri indirizzi del Cobianchi all’interno dei quali gli insegnati di Scienze umane andrebbero ad inserirsi secondo i criteri – questi sì burocratici – della normativa e dell’anzianità.

E l’operazione non avrebbe nemmeno l’effetto che i burocrati (pardon i necrofili amministrativi) si proporrebbero. Chi ha un minimo di esperienza di scuola superiore sa che la scelta degli studenti (e delle famiglie) prevalentemente si orienta in prima battuta per la scuola (Cobianchi, Ferrini, Liceo, Franzosini nel caso di Verbania) e solo in seconda battuta per il corso di studi, l’indirizzo. I motivi sono vari, la tradizione familiare, l’appeal della scuola, l’esperienza (o la presenza) di fratelli maggiori ecc. E pertanto la riduzione auspicata di allievi si otterrebbe solo in minima parte.

Personalmente non sono affatto contrario che al Liceo Cavalieri si apra pure un corso analogo, senza naturalmente chiudere quello del Cobianchi. Sarà un’esperienza diversa che avrà il tempo di maturare, fare esperienze e caratterizzarsi a contatto con gli altro corsi liceali. Le famiglie e gli studenti avranno così una maggiore possibilità di scelta sulla base delle loro propensioni e soprattutto non verrebbe dispersa l’esperienza consolidata di un solido corpo docenti quale quello dell’attuale Liceo delle Scienze Umane del Cobianchi.

Un danno per la comunità del nostro territorio (e di quelli limitrofi). Chiunque conosca o pratichi l’insieme dei servizi scolastici di base (e non solo), delle strutture socio educative, socio sanitarie e del welfare – sia pubblico che del privato sociale – locale sa come una parte significativa di quel personale provenga dal corso di Scienze Umane del Cobianchi. Chi, soprattutto nei primi due decenni, si è inserito direttamente – o dopo una formazione professionale – nel mondo lavorativo. Chi, in misura crescente dagli anni novanta in poi, ha proseguito studi e formazione all’università, in una gamma abbastanza vasta di facoltà e corsi: psicologia, scienze dell’educazione, storia, sociologia, filosofia, giurisprudenza, scienze della comunicazione, e in ambiti più professionalizzanti quali educatori professionali, psicomotricisti, logopedisti, animatori sociali ecc, ecc. Un rilevante capitale sociale della nostra comunità di cui si vorrebbero tagliare le radici.

L’ex collega Guido, sempre nell’incontro di sabato, suggeriva di raccogliere e sistematizzare tutta l’esperienza di questi quarant’anni di vita di Scienze umane: una pubblicazione, magari on-line. Un lavoro utile e doveroso. Certo. Purché non serva per un bel funerale.


Per eventuali approfondimenti vi rimandiamo al sito Fractaliaspei Leggi QUI il post completo