LegalNews: Reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato nell’azienda dichiarata fallita

La Suprema Corte con la sentenza n. 2975/2017 ha trattato il tema della reintegra del lavoratore, a seguito di licenziamento illegittimo, nell’azienda nel frattempo dichiarata fallita.

  
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Il caso esaminato dalla Cassazione è il seguente: nel 2010 (ossia prima della Riforma Fornero e del Jobs Act) un lavoratore veniva licenziato dall’azienda datrice di lavoro per asserito superamento del periodo di comporto, ossia a causa del superamento del termine massimo entro il quale il dipendente in malattia ha diritto di conservare il proprio posto di lavoro.

Il lavoratore, ritenendo illegittimo il licenziamento irrogato dall’azienda, lo impugnava avanti al tribunale competente: in primo grado il suo ricorso veniva rigettato, mentre la corte d’appello accertava l'illegittimità del licenziamento, senza però ordinare la reintegra nel posto di lavoro. Considerato che la società datrice di lavoro era fallita durante il procedimento e aveva completamente cessato la propria attività, infatti, la corte d’appello si limitava a condannare il fallimento alla corresponsione delle retribuzioni non erogate e al risarcimento del danno.

Il lavoratore, pur essendosi insinuato al passivo della procedura fallimentare per ottenere la corresponsione della somma alla quale aveva diritto, riteneva però di avere interesse anche ad una pronuncia di reintegra sul posto di lavoro, pur se la società datrice di lavoro era fallita cessando l’attività: con la ricostituzione del rapporto di lavoro, infatti, egli sarebbe stato considerato effettivamente alle dipendenze della datrice di lavoro al momento del licenziamento, potendo così passare ai sensi dell’art. 2112 c.c., insieme con gli altri ex dipendenti della società, alle dipendenze della società che aveva affittato un ramo d’azienda da quella fallita; ricorreva perciò per cassazione.

La Suprema Corte, rimanendo nel solco del proprio orientamento, ha innanzitutto rilevato che ove il lavoratore abbia agito in giudizio chiedendo, con la dichiarazione di illegittimità o inefficacia del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro nei confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, tale iniziativa si fonda anche sull'interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all'interno dell'impresa fallita, sia per l'eventualità della ripresa dell'attività lavorativa, sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, estranei all'esigenza di conseguire le retribuzioni non percepite e il risarcimento del danno.

La Corte ha proseguito sottolineando che la cessazione dell'attività della società fallita non osta alla pronuncia di reintegra del lavoratore sul posto di lavoro. Al contrario, in caso di fallimento dell'impresa datrice di lavoro dopo il licenziamento di un suo dipendente, questi ha interesse ad una sentenza di reintegra nel posto di lavoro, previa dichiarazione giudiziale dell'illegittimità del licenziamento, in quanto questa pronuncia può comportare utilità ulteriori per il lavoratore rispetto alla tutela dei suoi diritti di natura economica: si pensi all’ipotesi di eventuale ripresa del rapporto lavorativo (in caso di esercizio provvisorio dell’attività d’impresa, di cessione dell'azienda oppure di ripresa dell’amministrazione dell’azienda da parte del fallito a seguito di concordato fallimentare) ovvero di eventuale ammissione del lavoratore ad una serie di benefici (indennità di cassa integrazione, di disoccupazione, di mobilità).

Sulla base di tali motivazioni la Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore.

Avv. Mattia Tacchini
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