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La mafia si tenne il tesoro, anche a Verbania

Castelli, ville, tenute: oltre 400 immobili sequestrati ai clan rimangono ancora in mano ai familiari dei boss. Dal Piemonte alla Sicilia, così lo Stato si arrende, anche a Verbania uno di questi tesori.

Verbania
La mafia si tenne il tesoro, anche a Verbania
Il tesoro vale quasi 2 miliardi di euro ma non c'è verso di farlo fruttare. Lo Stato ha tolto alle mafie un patrimonio sterminato di ville, palazzi, appartamenti, magazzini, lotti edificabili e coltivabili: 11.100 immobili, disseminati lungo tutta la Penisola.

Che restano spesso inutilizzati: non aiutano né la riscossa sociale, né la crescita economica. Anzi, spesso si trasformano in una beffa per le istituzioni. Perché oltre alle angherie dei clan, che devastano i possedimenti confiscati o intimidiscono i potenziali utilizzatori, bisogna fare i conti con una burocrazia che permette ai boss e ai loro familiari di godersi i beni sotto sequestro.

All'Agenzia nazionale beni confiscati, che ha il compito di gestire il tesoro e riconsegnarlo alla collettività, sono stati affidati più di 3.500 tra ville, case, box auto, capannoni, terreni e stalle. Ma ben 418 sono ancora occupati da parenti o da prestanome dei mafiosi. Visto che la confisca diventa definitiva solo al terzo grado di giudizio, spesso dopo un iter che dura anche dieci anni. E che nel frattempo lascia i tesori in mano alla mafia. Non solo nelle regioni meridionali, dove le cosche possono contare su complicità profonde.

A Biganzolo, sulle colline di Verbania, c'è una villa di prestigio del valore di 2 milioni di euro. E' stata confiscata da 12 anni, con l'obiettivo di trasformarla in un presidio della polizia. Ma Ciro Galasso, fratello del padrino che prima del pentimento è stato al vertice della camorra, e la moglie Iolanda non mollano e presentano ricorso su ricorso, sostenendo che è stata «acquistata con soldi puliti». Sullo sfratto non hanno influito né la condanna per tentata estorsione, legata proprio ai lavori della villa, inflitta a Ciro Galasso; né i verbali del 2007 che lo hanno indicato come «vicino» a camorristi. Il collaboratore Pasquale ha dichiarato: «Non fanno altro (i miei fratelli tra cui Ciro, ndr.) che parlare male dei pentiti».
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