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Metti una sera al cinema - ONE SECOND

ONE SECOND – regia di Zhang Yimou Genere Drama - durata 105 minuti

Verbania
Metti una sera al cinema - ONE SECOND
Negli anni della Rivoluzione Culturale, Zhang evade dal campo di lavoro forzato e vaga per il deserto per raggiungere un villaggio dove in un cinema, assieme al film Eroic Sons and Daughters, viene abbinato il cinegiornale di propaganda numero 22 in cui compare, anche solo per un secondo, l'immagine della figlia che non lo vuole più vedere dopo che è stato arrestato. Poco prima della proiezione la pellicola viene rubata da una ragazzina, l'orfana vagabonda Liu, che ha bisogno della celluloide per costruire la lampada al fratello più piccolo. Zhang, dopo aver assistito al furto, la insegue. Perde la pizza, la recupera e la perde ancora. Al villaggio intanto un pubblico molto numeroso è in attesa di assistere allo spettacolo serale organizzato dal proprietario e proiezionista del cinema, chiamato "Mr. Film", che è visto come una divinità e si considera una figura essenziale all'interno del Partito.


One Second era stato annunciato in programma alla Berlinale del 2019. Poi, per indefiniti e misteriosi “motivi tecnici”, era stato ritirato poco prima che iniziasse il festival. E subito si era vociferato di problemi di censura, per questo ritorno di Zhang Yimou allo scottante periodo della rivoluzione culturale maoista, che aveva segnato la sua giovinezza.

Ma cos’è questo one second? È, letteralmente, un secondo, poco più, poco meno, di un cinegiornale governativo, in cui compare la figlia del protagonista, Zhang Jiusheng, fuggito da un campo di lavoro forzato proprio per poter veder proiettati quei pochi fotogrammi. Tutta la prima parte del film è, così, una rocambolesca e avventurosa vicenda di passaggi di mano, di sottrazioni, dispetti, inseguimenti. Qualcosa tra il racconto picaresco e la commedia slapstick. Ma, a poco a poco, quando si scoprono le motivazioni dei protagonisti, il tono emotivo sale. È qui che Zhang Yimou può mostrare tutta la potenza di fuoco del suo cinema, la sua capacità di inquadrare e regolare la massa, di trovare l’accordo perfetto tra corpi e spazi. Fino a quel momento, si tiene lontano dalla magniloquenza e dalla complessità compositiva a cui è abituato. Rimane concentrato sulle azioni, sulle traiettorie delle fughe e degli inseguimenti, sullo sfondo di un paesaggio desertico, desolato. Ma nelle sequenze nella “sala” gremita, espande il suo raggio dalla dimensione individuale a quella comunitaria. Le immagini di propaganda di Wu Zhaodi giganteggiano e incantano un pubblico anonimo, relegando quasi all’indifferenza dei margini le azioni di disturbo, i conflitti, le risse e tutte le questioni personali. Mentre la trama di padri e figli ritovati di Heroic Sons and Daughters sembra risuonare nelle vicende di Zhang Jiusheng e della piccola Liu, come se queste fossero solo un riflesso particolare di una storia già cristallizzata nella dimensione ideale delle immagini. Il cinema, in qualche modo, trapassa e oltrepassa le storie, le sospende. Il proiettore continua a girare, anche quando la concitazione prende il sopravvento. È in questo sguardo “archeologico”, in questo amore per la materialità fragile ma testarda della pellicola, con le ferite, le cesure (e censure) dei fotogrammi, che Zhang Yimou mostra la sua vena migliore, mettendo tra l’altro in evidenza la relazione pericolosa tra valore politico e valore affettivo delle immagini, tra la loro retorica e le “verità” della storia. Ma è anche il punto in cui diventano palesi alcune ambiguità di sguardo. Perché se, di certo, Zhang Yimou non è tenero nel mostrare il clima di fatica, paura e delazione del periodo della rivoluzione culturale, quando si abbandona a una nostalgia e a una fascinazione fanciullesca per un’idea “antica” di cinema, come esperienza collettiva e magica, sembra poter edulcorare quasi ogni conflitto. Si avverte un che di compromissorio, anche nell’artificiosità forzata del finale. Ma, forse, è un peccato veniale.


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