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Gli auguri di mons. Franco Giulio Brambilla

Lettera del Monsignor Franco Giulio Brambilla a tutti i diocesani di Novara.

Verbania
Gli auguri di mons. Franco Giulio Brambilla
Carissimi,

nella scena della Natività di Gaudenzio Ferrari sulla Parete del tramezzo della Madonna delle Grazie, mi ha colpito un particolare che forse deriva solo dall’estro del grande pittore varallese: Gesù bambino guarda Maria con il dito sulle labbra. È un tocco vezzoso che illumina questa Natività di un’umanità incomparabile. Il Bimbo, su cui si curva in contemplazione adorante il tenero volto di Maria (di cui solo l’occhio di Haltadefinizione ci restituisce l’emozionante bellezza di linee e d’incarnato) giace su un panno trasparente con il “dito in bocca”. L’indice incantato della mano sfiora le labbra. L’umanissimo gesto di ogni bimbo è iscritto nella carne del figlio dell’Altissimo.

È il mistero del Natale! La bocca di Maria prega silente. I due angeli dai riccioli d’oro – magia di Gaudenzio – salmodiano le Sante Scritture. Il figlio adagiato su un lembo trasparente di lino, mette la mano sulle labbra quasi a invitare al silenzio, a invocare la tenerezza e ad ascoltare il bisbiglio orante della Madre.

È questo il segreto di Betlemme! Gesù, la Parola di Dio che viene dall’alto, il “Figlio” tenerissimo del Padre, si fa bambino generato dal grembo di Maria. E da Lei s’attende che gli in-segni, cioè che segni-in Lui le parole per sillabare il mistero di Dio. Il piccolo Gesù tiene il dito sulle labbra, per chiedere tenerezza, suggerire il silenzio, ascoltare la musica del “Sì” di Maria. Così diciamo a Natale: Gesù cresce come un figlio in una famiglia, assume la nostra umanità, diventa come uno di noi. E questo fatto suscita la nostra tenerezza. Vedere il “figlio dell’Altissimo” vestire i panni della fragilità, della povertà, abitare una famiglia che l’evangelista Luca colloca nel solco dei poveri di Jahweh, vederlo accompagnato da pastori e da personaggi che esprimono la parte migliore della speranza di Israele, tutto ciò suscita in noi la nostalgia del Natale.

Questo, però, non è il mistero dell’infanzia di Gesù che ha affascinato Teresa di Lisieux e Charles de Foucauld. È solo la superficie della natività a Betlemme. Ne è come la teca che nasconde un segreto prezioso. Gesù, la Parola che è nel seno del Padre, il Figlio amatissimo, non soltanto impara della Vergine a dire “Dio”, ma diventa uno di noi per farci invocare “Padre”. Nel breve volgere di tempo, quella bocca dovrà crescere nella “sapienza e nella grazia” e ricevere la propria umanità come uno di noi. Anzi, Maria gli in-segnerà a portare la Sapienza e la Grazia del Dio dei Padri nella propria carne di Figlio.

Ecco, dunque, il segreto di Betlemme. Diciamolo ora con una frase un po’ alta: Gesù, la parola di Dio in persona, si è sottoposto a una lunga incubazione nelle viscere della nostra umanità (per trenta interminabili anni), perché fosse possibile che la parola-azione di Gesù (in soli tre anni) facesse quasi esplodere dal di dentro il nostro linguaggio umano, aprendolo a dire le immagini, le parole e i gesti che ci raccontano il Regno di Dio. Guardate quel Bimbo che mette il dito sulle labbra! Da dove ha preso le sue parole, le sue immagini, le sue fulminanti intuizioni, i suoi sapidi aforismi, le sue azioni sconvolgenti? Non li ha forse imparati dal labbro in preghiera di Maria, che si curva sul bimbo nudo e infante? E le parole di Gesù, le sue metafore, il suo insuperato modo di guardare i campi, il contadino che semina, la messe che biondeggia, la donna di casa che cerca la moneta perduta, il pastore che prende sulle spalle la pecorella ferita, il padre e i suoi due figli, il pescatore che raccoglie a riva i pesci, i tralci e la vite, i lavoratori a giornata, l’amministratore saggio e quello infedele, la festa delle nozze, da dove vengono?

La sua sorprendente capacità di raccontare, paragonare, immaginare, pregare nella e con la vita, da dove vengono se non dall’humus, dalla terra e dall’immersione nella vita brulicante di Betlemme prima e di Nazareth poi? Per questo, il Natale è il luogo dell’umiltà e del nascondimento: lì la parola si nasconde, lì il seme scende nel grembo della terra e muore per portare molto frutto, tutto il dono Dio! Ecco la fecondità del mistero del Natale!

Natale, tuttavia, è solo l’inizio. La nascita diventa generazione. Gesù impara nell’ambito della sua famiglia e nel solco della spiritualità giudaica la fedeltà alla legge. Gesù cresce in sapienza, Lui che è la Sapienza stessa, più grande di Salomone. Gesù riceve la grazia della tenerezza di Maria, Lui che ha riempito la Vergine delle Grazie. Bisogna conoscere bene la famiglia ebraica e la religiosità giudaica, una religione domestica e una famiglia patriarcale, per comprendere tutto il lavorìo di incubazione della parola di Dio, nel vagito del Bimbo che sfiora stupito le labbra con il suo dito.

Verrebbe da dire: “che sarà mai di questo bambino?”. Ecco il mistero di Natale: il figlio dell’Altissimo, il discendente di David, il Salvatore atteso, la luce della genti, la gloria di Israele s’immerge nelle storia della sua gente, per imparare il linguaggio umano, per assumere la religiosità del suo popolo, per sillabare le preghiere di Abramo e Mosè, per cantilenare il Salterio di Davide, per assorbire la sapienza di Salomone. Per trenta lunghissimi anni! Questo è il mistero della nascita a Betlemme!

Gesù ha imparato, gustato, assorbito, mediante un’interminabile incubazione, la grammatica della nostra umanità, la lingua madre di Maria, la religiosità familiare, l’attesa di Israele, la speranza delle genti. La parola di Dio ha imparato i linguaggi dell’esperienza umana, dentro una serie interminabile di legami. I legami instaurati con tutta la schiera di personaggi che sfilano a Betlemme e a Nazareth: i poveri di Israele, Zaccaria ed Elisabetta, Maria e Giuseppe, i pastori, i presenti e familiari, Simeone e Anna, il popolo della promessa. E su tutto la sfolgorante schiera di angeli, oranti e musicanti, che accompagnano, interpretano, annunciano e cantano “gloria”. Vediamo quasi visibilmente Gesù che s’inabissa nella storia del suo popolo, ne attraversa tutti i legami. Sta lì, inerme su quel panno, oggetto di attese e di cure, di annunci e di presenza, di gioia e di trepidazione. Questo è il mistero del Natale: per un aspetto riguarda solo Gesù, la lunga immersione che il figlio di Maria ha vissuto e sperimentato dentro il linguaggio umano e la storia del suo popolo; per l’altro tocca ogni uomo e donna, perché non si nasce solo una volta, ma si viene continuamente generati. Noi diventiamo ciò che abbiamo ricevuto. Il mistero di Betlemme è anche per noi la famiglia e la religiosità, le nostre radici e la nostra gente. Non c’è nessuna avventura della vita che non parta da ciò che abbiamo ricevuto: la vita, la casa, l’affetto, la lingua (madre), la fede e le forme religiose con cui s’esprime. Questa è la nostra umanità e la sapienza che ci è donata. Tutto il cammino che possiamo fare nell’esistenza fino alle vette del mistero di Dio, o alla dedizione sconfinata verso il povero e il fratello, viene da questo linguaggio originario. La nostra umanità è forgiata da questa lingua di base, con le sue ricchezze e le sue povertà, a cui bisogna essere grati e che Gesù non ha avuto paura di attraversare.

Sotto lo sguardo di Maria, al calore dell’asino e il bue, sullo spartito musicale degli angeli annuncianti, anche noi cantiamo con il dito sulle labbra:

Noi, uomini, che sappiamo
le aspre solitudini
del cuore, una Madre
ti offriamo, o Dio,
e per essa tutti diciamo:
“Vieni, Signore!
Vieni sempre, Signore!”
Lei, la porta che apre a te
libertà di farti umano;
a noi finalmente di essere
salvi dal quotidiano morire.
(David Maria Turoldo)

Giulio Brambilla
Vescovo di Novara
Natale 2014



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