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CSSV: "Non dividiamoci ora"

Una lettera-appello dai Servizi Territoriali e dalle RSA del Verbano Cusio Ossola.

Verbania
CSSV: "Non dividiamoci ora"
Sentiamo l’esigenza di esprimere grande sostegno a tutte le persone, che a vari livelli di responsabilità e operatività stanno lavorando per contrastare la diffusione della pandemia e per curare e accudire coloro che, loro malgrado, hanno contratto il virus SARs-Cov-2.

Siamo vicini con il nostro abbraccio a tutte le famiglie che in queste settimane, ormai mesi, stanno vivendo la sofferenza del lutto di un parente in un contesto così surreale e innaturale.
Vogliamo portare un nostro contributo alla riflessione su come abbiamo vissuto e stiamo vivendo questo passaggio storico così difficile.

Ci sono tre aree in cui si sta combattendo questa emergenza.

La prima è quella legata al mondo ospedaliero, che è stato investito da uno tsunami di bisogni sanitari complessi, sconosciuti e nella fase iniziale non certamente pianificabili: lo sforzo professionale, organizzativo e umano, richiesto per farvi fronte, è stato immane.

Poi c’è il mondo domiciliare con le persone, che sono a casa e vengono assistite perché sole o malate: è un mondo silenzioso, su cui non si accendono mai i riflettori ma che raccoglie la più parte dei bisogni e anche delle soluzioni possibili. E’ fatto delle cure familiari, del vicinato, dei servizi di assistenza domiciliare, della rete dei medici di medicina generale, del volontariato e terzo settore, degli enti locali e del territorio nel suo insieme.

E c’è una terza area, che è il mondo delle residenze per anziani, disabili, minori, adulti in difficoltà, che riguarda centinaia di migliaia di persone fragili che vivono in posti dove servono approcci diversi e più strutturati, che devono garantire il calore di una casa ma nello stesso tempo la professionalità di un luogo di cura.

In ogni livello sono coinvolti in prima persona operatori professionali, che hanno e stanno mettendo la propria vita al servizio degli altri, anche a rischio di essere contagiati, e in alcuni casi di perderla.

Con questa lettera vogliamo portare l’opinione pubblica a riflettere su quanto stia accadendo nelle Residenze per Anziani e Disabili, sottoposte purtroppo a un attacco, che ci risulta “stonato” in questi frangenti.

Nello scorso 9 aprile un’analisi dell’Istituto Superiore di Sanità su un campione di 16.654 pazienti deceduti e positivi a COVID-19 in Italia, ha stabilito che l’età media dei pazienti deceduti e positivi a COVID-19 è di 78 anni per gli uomini e di 83 per le donne. Insomma, cinquanta giorni dopo lo scoppio dell’epidemia italiana, un dato era ed è certo: muoiono soprattutto gli anziani. E una ricerca pubblicata su The Lancet Infectious Diseases il 30 marzo ci dice che il tasso di mortalità (non di letalità) del Covid19 sui casi accertati è stimato come segue: 1,25% tra 50-59; 3,99% tra 60-69; 8,61% tra 70-79; 13,4% sopra 80 anni.

Ora, le 4.629 case di riposo e Rsa italiane hanno una popolazione di 300.000 ospiti al 75% over 80 e al 78% non autosufficienti.

Insomma, proprio in queste strutture il virus avrebbe colpito maggiormente.

Purtroppo gli effetti dirompenti e devastanti di una pandemia, che attacca in particolare la popolazione anziana più fragile, inevitabilmente ricadono nei luoghi dove questi pazienti sono accolti, in strutture - tra l’altro - che abbiamo chiesto a gran voce non fossero segreganti, ma aperte al territorio.

Non dimentichiamo che fino a ieri parlavamo delle RSA come i luoghi dove venivano curate prevalentemente le cronicità e in particolare le patologie con decadimento cognitivo: quante volte abbiamo letto o ascoltato che bisognasse potenziare i servizi a favore delle demenze e dell’Alzheimer e che nelle nostre RSA si concentrassero soprattutto pazienti cognitivamente molto compromessi.

Ora, non è difficile immaginare che a un paziente demente o a una persona con disabilità intellettiva non allettata sia alquanto complicato spiegare il distanziamento sociale o la necessità di stare isolato in camera o l’obbligo di indossare la mascherina. Solo chi vive o lavora in una residenza può capire quanto sia complesso attivare le misure di contenimento del virus, che valgono per il mondo esterno ma poco applicabili in contesti complessi.

Se è stato impossibile avere strategie rigorose per circoscrivere il rischio tra operatori ospedalieri - se non in rare eccezioni - meno che mai ci si poteva aspettare di riuscirci nelle realtà socio-sanitarie residenziali per persone anziane e ancor più per quelle disabili, dove i requisiti di accreditamento non vanno nella direzione della segregazione, ma se mai della permeabilità all’interno e all’esterno; dove il profilo sanitario delle Rsa italiane non è certo orientato alla cura dell’acuzie, ma se mai a una gestione della cronicità e del declino - quello cognitivo rende la maggior parte degli ospiti nulla o poco collaboranti - che unisca alla terapia possibile la qualità della relazione di cura.

Non vogliamo sottrarci da una riflessione sugli approvvigionamenti dei dispositivi di protezione individuale: ogni struttura è obbligatoriamente dotata dei DPI previsti in situazioni di normalità. Ma fin dalla fine di febbraio, la scelta di centralizzare gli acquisti a livello nazionale e regionale - che nessuno a suo tempo contestò - ha di fatto penalizzato i normali canali di approvvigionamento dei DPI, impedendo alle strutture territoriali di fornirsi autonomamente. Questo ha ostacolato anche il rifornimento dei dispositivi “speciali” (visiere, mascherine filtranti, tute integrali), utilizzati fino ad allora solo nei reparti ospedalieri di malattie infettive e non certo già in dotazione nelle strutture a cui ci riferiamo.
E non vogliamo omettere neppure il tema dei tamponi, richiesti a gran voce fin da quando ci si è accorti che anche il personale socio sanitario diventava esso stesso

veicolo di contagio. L’analisi dei tamponi non può essere eseguita dalle strutture e ben conosciamo lo sforzo che i servizi sanitari hanno dovuto compiere per cercare di arrivare in ogni dove; ma i tempi di questo livello organizzativo non hanno tenuto conto dei tempi della diffusione del virus.

Isolare gli operatori e gli ospiti asintomatici è stato possibile solo quando si è iniziato a effettuare i tamponi. Gli operatori sanitari hanno pagato e stanno tuttora pagando un caro prezzo in questa pandemia; non da meno il sacrificio degli operatori socio assistenziali, per lo più donne con la preoccupazione anche per le loro famiglie.

Un’ altra scelta, che i sistemi delle RSA e del territorio hanno in qualche modo subìto, è quella che riguarda il reclutamento del personale. Il sistema sanitario a un certo punto ha avuto bisogno di nuovo personale, perché carente di risorse proprie. Ed ecco che si è avviata in queste ultime settimane, anche sul territorio, una massiccia campagna di chiamata di Operatori Socio Sanitari e di Infermieri Professionali, già impegnati nelle RSA o sui servizi territoriali, con offerte di lavoro che, pur a tempo determinato, hanno una migliore remunerazione sulla base dei contratti collettivi di riferimento. Questo passaggio ha ulteriormente indebolito il sistema delle cure extraospedaliere, in una fase della pandemia dove forse sarebbe stato più lungimirante potenziarlo.

Infine veniamo alla difficilissima decisione di vietare gli accessi dall’esterno a familiari, volontari, visitatori, sapendo bene che questo avrebbe destabilizzato emotivamente gli ospiti anziani o disabili, e richiesto perciò al personale un carico doppio di accudimento e vicinanza.

La chiusura ha comportato il rischio che fosse intesa come un voler tenere “fuori” ciò che accadeva “dentro”. Per molte Rsa la chiusura è stata disposta responsabilmente nei giorni seguenti il 23 febbraio in assenza di precise indicazioni regionali e nazionali.

I volti degli anziani smarriti, l’agitazione dei disabili sottratti alla loro routine, il tentativo di tenerli in contatto con le persone care grazie a dispositivi digitali con cui la maggior parte di loro non ha familiarità, il sorriso con gli occhi e la voce a surrogare il riconoscimento visivo degli operatori dietro la mascherina sono la cifra di una quotidianità sempre più difficile con la necessità - che via via si è imposta - di isolare le persone.

Non è stata una scelta facile e a volte non è stata compresa dagli stessi familiari.

Come ben sappiamo le responsabilità sono, nel nostro sistema, sempre personali e la magistratura, se ne ravviserà gli estremi, farà il suo corso.

Certo tutti noi, con differenti responsabilità, abbiamo dovuto e continuiamo a fare i conti con una situazione davvero estrema.

Dobbiamo imparare da ciò che abbiamo vissuto ciò che non ha funzionato e ciò che dobbiamo correggere, ma questo esame deve riguardare tutti i livelli della filiera. E l’obiettivo non è trovare un capro espiatorio, ma prepararsi meglio a gestire situazioni che non dovranno più trovarci impreparati, tutti nessuno escluso.

Si può immaginare un altro modello dalle Rsa o dei Servizi Territoriali? Certo, ma invece di processi sommari occorre mettere in campo risorse per potenziare l’assistenza domiciliare e la medicina di territorio dove soggetti pubblici, soggetti convenzionati ed enti del terzo settore si sentano insieme co-responsabili del bene comune più importante: la salute e il ben-essere delle persone.

Dalla pandemia si uscirà quando la scienza troverà il vaccino; dal rischio di giocare allo scaricabarile si uscirà quando finiremo di mettere in contrapposizione i vari sistemi (servizio sanitario, servizi territoriali e servizi residenziali), i diversi territori e le differenti responsabilità con la convinzione vera, e non solo dichiarata, che la collaborazione, e non la contrapposizione, sia la nuova chiave per entrare nel “nuovo mondo”.

Non dividiamoci ora.
19/04/2020

Firmatari
Stefano Calderoni Ciss Cusio
Angelo Barbaglia Ciss Cusio
Franco Diazzi Css Verbano
Chiara Fornara Css Verbano
Giorgio Vanni Ciss Ossola
Mauro Ferrari Ciss Ossola
Attilio Smorgoni Casa Lagostina
Rino Bisca Casa Lagostina Omegna Premosello Vogogna
Valter Costantini Opera Pia Uccelli
Sergio Merletti Opera Pia Cannobio
Ennio Calegari Casa Muller Verbania
Andrea Manini Casa Muller
Mara Strazzacappa Casa di Re
Andrea Lux Casa di Re
Nadia Bazzi Sacra Famiglia Verbania
Simonetta Valterio Casa di Montescheno
Cecilia Quagliaroli Case di Domodossola e Villadossola
Enzo Gatti Casa Vanzone
Augusto Cavagnino Casa Serena Orta
Pierernesto Crespi Casa Serena Orta
Catia Esini Casa S.Antonio Ameno
Alessandra Riva Casa Donat Cattin Baceno

Alla lettera-appello hanno aderito inoltre
Silvia Marchionini Sindaco Verbania
Paolo Marchioni SindacoOmegna
Giuseppe Monti Sindaco Premosello
Gianmaria Minazzi Sindaco Cannobio
Noemi Brambilla Sindaco di Ameno
Dario Ricchi Sindaco Montescheno
Claudio Sonzogni Sindaco Vanzone
Vitaliano Moroni Fondazione Vita Vitalis
Volontari GAV Verbania
Gianni Desanti Presidente Pro Senectute Omegna
Osvaldo Motta Auser VCO
Irmo Caretti Anteas
Università del Ben Essere Auser Verbania



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