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Metti una Sera al Cinema - Rapito

Martedì 24 ottobre 2023, a Metti una Sera al Cinema: "RAPITO", Regia di Marco Bellocchio.

Verbania
Metti una Sera al Cinema - Rapito
Genere Drammatico durata 134 minuti. INIZIO TURNO A anticipato alle 17:00 INIZIO TURNO C posticipato alle 21:50

Regia di Marco Bellocchio con Enea Sala, Leonardo Maltese, Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi. Genere drammatico – ITALIA 2023 durata 134 minuti.



La fonte letteraria è "Il caso Mortara" di Daniele Scalise, cui si ispira la sceneggiatura di Bellocchio e Susanna Nicchiarelli, e la perfetta ricostruzione di quel tempo è ricca di dettagli che ci calano in quel mondo controllato da un potere temporale ubiquito. L’antisemitismo della Chiesa si manifesta con virulenza, tanto che il Papa arriverà a minacciare il capo della comunità romana di "costringere gli ebrei a tornare nel loro buco", risigillando la porta del ghetto. Ma al di là dell'aderenza storico-politica e dei contrasti religiosi, questa storia è fatta per Bellocchio perché racconta il trauma esistenziale di un'identità negata, e le storture che tale diniego provoca nella vita degli uomini. Ben tre volte (il che equivale ad una sottolineatura indelebile), il montaggio parallelo incatena situazioni opposte: una sessione di preghiere incrociate, l'una che spera, l'altra che inchioda il bambino al suo destino (quando la scena più bella del film è quella in cui il piccolo Edgardo toglie i chiodi dal corpo di Gesù "ucciso dagli ebrei"); un verdetto di tribunale e una cerimonia confirmatoria; un ostinato "ora pro nobis" e un'irruzione della Storia laica. E per tre volte l'identità di Edgardo verrà nascosta sotto un telo - la gonna della madre, la tonaca del Papa, il lenzuolo del letto del "rapito" - che ogni volta cambieranno il senso e il tono della domanda "Dove è finito Edgardo?", rimando ad una scena iconica di Fai bei sogni, dove la madre, come qui, era Barbara Ronchi. Numerose e ripetute sono le situazioni in cui un essere umano viene umiliato: lo strisciare del capo della comunità ebraica romana (un inedito Paolo Calabresi) o il bacio del pavimento della chiesa, con tanto di leccate, sono degni di un film carcerario, di quelli in cui la mortificazione dei sottoposti viene esercitata per ribadirne la condizione sottomessa. Rapito è un film di una violenza non grafica ma efferata, tanto più grottesca e terribile perché perpetrata con quel senso di titolarità moralista che è al centro di ogni oppressione (non a caso il rapimento di Edgardo viene organizzato da un ex inquisitore) e sostenuta da una struttura di potere che nega o minimizza la gravità di ogni sua scelta con un "non è successo niente".



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