Ambientato tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80, il romanzo segue il percorso di Alfredo, un ragazzo costretto dall’indigenza a entrare precocemente nel mondo del lavoro, lasciandosi alle spalle l’infanzia con una rapidità brutale. Dal Piemonte operaio alle grandi città del Nord-Ovest, la sua esistenza si intreccia con le macerie di un boom economico ormai dissolto, mentre la globalizzazione fagocita le piccole realtà lavorative e il capitalismo disegna nuovi orizzonti di precarietà.
Ma Zone depresse non è solo la storia di un’epoca. È anche la storia di un uomo che non sa amare, che fatica a costruire legami, che osserva la propria incapacità emotiva con un misto di rassegnazione e stupore. In un’Italia in cui il patriarcato vacilla ma non crolla, Alfredo si muove tra relazioni fragili e sentimenti incompiuti, prigioniero di un’educazione sentimentale mai ricevuta e di un’idea di mascolinità che gli è stata imposta senza che lui l’abbia mai davvero scelta.
Minoletti ci regala un romanzo potente e disincantato, dove la storia personale e quella collettiva si fondono in un ritratto amaro e lucidissimo di un paese e di una generazione. Un libro che, tra le righe, ci pone una domanda essenziale: si può davvero imparare ad amare, quando nessuno ci ha insegnato come si fa?
Marco Minoletti (Verbania, 1957) ha partecipato all’esperienza del gruppo informale Accademia dei Testardi e alla rivista Maelstrom. Nel 1988 si è trasferito in Germania, dove tutt’ora risiede. Ha curato la pagina culturale per diverse riviste zurighesi, contribuendo con saggi e articoli. Nel 2022 ha pubblicato il suo primo romanzo, La spinta ideale (Ortica editore), in cui affrontava già alcuni dei temi presenti in Zone depresse, come il rapporto tra individuo e società, la memoria storica e la ricerca di senso in un mondo in trasformazione.